copertina del podcast dell'intervista a cecilia sala e del libro Il ritorno di Hisham Matar

Connessioni – Il ritorno

Come molti, ho seguito con il fiato sospeso la vicenda di Cecilia Sala e mi sono lasciata trasportare dall’intervista che le ha fatto Mario Calabresi al suo rientro in Italia, dopo i 21 giorni di isolamento nel carcere di Evin, a Teheran.

Un’intervista intensa, carica di emozioni, in cui Cecilia Sala ci trasmette il suo vissuto non solo con le parole, ma anche attraverso la voce spesso spezzata, il ritmo del respiro.

Mi hanno colpito in particolare queste parole:

“…il privilegio che noi abbiamo di avere una casa sicura, un Paese sicuro […] e il privilegio di poter scegliere, di poter andare via […] è la prima volta che mi capita di perdere per un periodo di tre settimane questo privilegio – la possibilità di scegliere, la possibilità di andartene che le donne afghane non hanno, che i soldati ventenni ucraini chiamati al fronte non hanno.”

Copertina del libro Il ritorno di Hisham Matar

Le sue parole mi hanno fatto pensare immediatamente a Il ritorno di Hisham Matar, tradotto in italiano da Anna Nadotti. Un’autobiografia che gli è valsa il Premio Pulitzer nel 2017, in cui Matar racconta il suo ritorno in Libia dopo trentatré anni di esilio. Il viaggio nella sua terra d’origine si intreccia alla ricerca del padre, Jaballa Matar, oppositore del regime di Gheddafi, sequestrato nel 1990 e rinchiuso in una prigione libica. Di lui non si saprà più nulla.

Alla sua famiglia sono arrivate solo tre lettere, in una delle quali scriveva:

“A volte passa un intero anno senza che veda il sole o senza che mi facciano uscire da questa cella.”

Due vicende diverse, con esiti e contesti non paragonabili, ma accomunate dall’orrore della privazione della libertà per motivi politici e dall’isolamento penitenziario.

Il ritorno è un libro da leggere perché racconta, con una scrittura potente e commovente, l’esilio e il ritorno, il legame tra un figlio e l’assenza del padre, e il passato coloniale dell’Italia in Libia.

“Il corpo di mio padre se n’è andato, ma il suo spazio è qui ed è occupato da qualcosa che non può essere considerato semplicemente un ricordo. È vivo e vitale. Come potrebbero la complessità dell’essere, la meccanica della nostra anatomia, l’intelligenza della nostra biologia, e lo sconfinato firmamento della nostra interiorità – pensieri, domande, struggimenti, speranze, bramosia e desiderio e le mille e una contraddizioni che ci abitano in ogni momento – avere una fine che si possa segnare con una data sul calendario? Mio padre è morto ed è anche vivo. Non possiedo una grammatica per lui. È nel passato, nel presente e nel futuro.”

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