Le collocazioni sono combinazioni di parole la cui caratteristica chiave è la riconoscibilità.
Non sono espressioni fisse come le frasi idiomatiche (ad es. prendere un granchio, mangiare la foglia), ma parole che vengono usate insieme più frequentemente rispetto ad altre.
Le collocazioni non sono determinate da regole, ma consolidate dall’uso. Inoltre, il legame tra le parole che le formano è immotivato e imprevedibile.
Ad esempio, il caffè può essere “forte”, ma non “potente”; si “lancia un appello”, non lo si “tira”; si può avere “l’ultima parola”, non la parola “finale”.
Le collocazioni sono utilissime per comunicare in modo chiaro, incisivo ed elegante, ma attenzione a non fossilizzarci!
Infatti, se da una parte le collocazioni ci permettono di distinguerci come parlanti nativi di una lingua (perché sono molto difficili da padroneggiare da parte di chi madrelingua non è), dall’altra non bisogna dimenticarsi che a volte abbinare le parole in modo non scontato può dare una marcia in più a un testo, specialmente se si tratta di testi di marketing o testi che devono catturare l’attenzione di chi legge.
Quando traduco, mi avvalgo spesso del dizionario delle collocazioni. Io uso quello pubblicato da Zanichelli, ma è molto apprezzato anche il Dizionario delle collocazioni di Francesco Urzì. Quest’ultimo è disponibile online e la licenza è acquistabile qui (N.B.: i soci AITI, Associazione Italiana Traduttori e Interpreti, possono usufruire di una convenzione e acquistarlo a prezzo scontato — maggiori informazioni nell’area riservata del sito AITI).
Quindi, sì alle collocazioni se ci aiutano a scrivere testi più chiari ed eleganti, ma senza esagerare con cliché e frasi fatte che possono banalizzare la nostra scrittura.
*Foto di copertina dell’articolo di Erik Witsoe su Unsplash
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